Brand equity: che cos'è e perché investirci

Una maglietta è solo una maglietta? No, perché se è di un rosso caratteristico e ha sopra stampigliato un cavallino rampante vale molto di più di una qualsiasi maglietta rossa. L’espressione brand equity in italiano viene tradotta appunto con “patrimonio di marca”: quel valore aggiunto che fa di un determinato prodotto il prodotto per eccellenza. Non è un caso se personaggi del mondo dello sport abbiano depositato un loro marchio personale: chi con il numero della maglietta, chi con il numero civico di casa.

Se un cappellino avrà stampigliato sopra un “46” blu e giallo, farà riferimento indubbiamente a un campione italiano del motociclismo. Le iniziali stilizzate RF riprodotte su magliette, pantaloncini e molti altri gadget contraddistinguono un mito del mondo del tennis. Un berretto o un polsino firmati da Roger Federer non sono un berretto o un polsino qualsiasi. Nello specifico a fare la differenza nella brand equity sono diversi parametri come la notorietà della marca, il mercato di riferimento e via dicendo. Ecco quali sono e perché è sempre conveniente investirci sopra. Ma che cos’è la brand equity e quale è la sua definizione precisa?

Brand equity: definizione

La brand equity è una risorsa immateriale d’impresa che esprime la forza e la riconoscibilità di una determinata marca sul mercato. Dal punto di vista del marketing è il valore che una marca è riuscita a creare sia in termini qualitativi che in termini quantitativi in base ai comportamenti dei consumatori, al mercato in cui viene distribuita e all’atteggiamento degli influencer. Si fa riferimento, dunque, alla capacità di una marca di orientare le scelte dei consumatori sulla base di elementi intangibili (il riconoscimento e la conoscenza del marchio da parte di un determinato mercato) più che su caratteristiche tangibili (la qualità effettiva). In termini più concreti, stiamo parlando del valore aggiunto apportato dalla marca al prodotto. La brand equity è quindi definibile come l’insieme delle risorse legate al nome o al simbolo che si aggiungono al valore che un bene o servizio fornisce ai clienti di un’impresa e all’impresa stessa.

Customer-Based Brand Equity e valore finanziario

Secondo la Customer-Based Brand Equity (CBBE), la valutazione che i consumatori hanno di un brand è legata a una percezione prettamente empirica e il cosiddetto consumer behaviour scaturisce dall’insieme delle iniziative che la società mette in atto per venire incontro alle loro richieste e per raggiungere i propri obiettivi. Ovvero, azioni di marketing con le quali il prodotto viene proposto e presentato sul mercato. 

La brand equity non riguarda però solo il marketing. La brand equity può anche essere letta anche da un punto di vista finanziario, dove la marca costituisce un vero e proprio asset del patrimonio aziendale, con uno specifico valore non solo a valle, verso i clienti, ma anche a monte, lato investitori. Naturalmente, entrano in gioco parametri diversi a seconda che si parli della sua validità finanziaria oppure di quella relativa al marketing. Secondo la Financial-Based Brand Equity (FBBE), il focus è sui flussi di cassa “addizionali” che i prodotti branded generano. Si tratta in definitiva del valore finanziario della marca, generalmente utilizzato per misurare il rendimento delle società quotate in borsa. La brand equity può essere dunque utilizzata per indicare il “potenziale economico” di un determinato marchio, in termini di capacità di produrre flussi di cassa positivi in futuro e nel lungo termine.

Come si misura la brand equity

I parametri utili a misurare la brand equity sono diversi. Per individuare i più comuni, è bene partire dall’approccio di Aaker, economista statunitense e docente di strategia di marketing presso la Haas School of Business dell’Università della California di Berkeley che per primo ha dato una definizione di brand equity. Secondo Aaker, le 5 componenti chiave che fanno il valore del marchio sono:

  • fedeltà, intesa come propensione al riacquisto;
  • riconoscibilità e conoscenza di marca;
  • qualità percepita;
  • tratti distintivi, vale a dire tutto quello che viene collegato al brand nella mente del consumatore);
  • asset esclusivi, come brevetti e marchi registrati detenuti dall’impresa.

Dati questi 5 elementi, il modello di valutazione più utilizzato nella Customer-Based-Brand-Equity si basa su tre concetti principali: diffusione, affidabilità e differenziazione.

  1. Diffusione: il marchio è conosciuto dai consumatori ed è disponibile nei punti vendita (diffusione cognitiva e diffusione fisica);
  2. Affidabilità: il marchio risponde alle richieste e alle attese del consumatore;
  3. Differenziazione: il brand ha un rapporto privilegiato con i suoi clienti. Questo terzo parametro è dato dalla sintesi dei primi due perché deve essere conosciuto, deve rispondere ai bisogni dell’utente e dimostrarsi affidabile: solo così può differenziarsi dalla concorrenza.

La piramide di Keller

Per una società costruire la brand equity è fondamentale sia economicamente che sotto l’aspetto del marketing. Ma come fare per costruirla? Come fare per creare la forza di un determinato marchio sul mercato e fargli acquisire validità economica?

Il modello ad oggi più conosciuto è quello teorizzato da Kevin Lane Keller, docente di Marketing alla Tuck School of Business al Dartmouth College. Secondo la sua teoria, per poter costruire un brand forte occorre plasmare il modo in cui i clienti lo percepiscono.

Tutto viene illustrato tramite la piramide di Keller, costituita in 4 step.

  1. Creazione dell’identità del marchio: per operare una distinzione serve segmentare il mercato, sapere chi potrebbero essere i potenziali clienti, quindi comunicare loro le esigenze che potrebbero essere soddisfatte con un dato prodotto.
  2. Definizione del significato del marchio: comunicare cosa il brand rappresenta, “come funziona” e quali le prestazioni dei prodotti. Con un focus sul tipo di esperienza che si vuole comunicare.
  3. Analisi della risposta del cliente: i pareri vengono suddivisi in quattro parametri: qualità, credibilità, considerazione e superiorità. In più si aggiunge la sfera sentimentale, ossia cosa il marchio evoca al cliente.
  4. Risonanza: è l’ultimo livello e anche il più ambito perché è la reazione del cliente al marchio, un legame quasi affettivo. Per far sì che questo accada, servono 4 condizioni basilari: lealtà comportamentale, attaccamento attitudinale, senso di comunità e coinvolgimento attivo.

Investire sulla brand equity

Raggiunta la vetta della piramide, la brand equity diventa un valore sul quale investire. Un marchio che sappia costruire una propria identità, comunicare chiaramente i suoi obiettivi, instaurare con il cliente un rapporto di fiducia è un marchio affidabile ed economicamente conveniente. Dalla macchina al telefonino, passando per i capi di abbigliamento, a fare la differenza è il brand che offre qualità e affidabilità. Investire su un marchio affidabile significa investire su un valore aggiunto.

Oggi la brand equity è considerata non solo un espediente buono per il marketing, ma un vero e proprio asset in grado di generare profitto. Basta considerare come esempio il famoso studio di Robert Shaw e David Merrick sul confronto tra Coca Cola e Pepsi, dove a brand nascosti prevale la seconda mentre a marchi “scoperti” spicca nettamente la prima. Conviene investire sulla Coca Cola o sulla Pepsi? Se sei un consumatore alla ricerca della bevanda dal gusto migliore, dovresti comprare la Pepsi (questo per lo meno, sulla base del confronto a brand nascosti). Se sei un investitore interessato al valore finanziario del marchio e al suo potenziale di crescita, meglio comprare azioni Coca Cola.