Con la fine del QE a dicembre 2018 l’accesso al credito potrebbe diventare più difficile e costoso. Creare un canale diretto tra mercato e imprese sarà sempre più una necessità oltre che una best practice, e in quest’ottica un ruolo chiave lo avrà il private debt, ovvero i diversi strumenti di debito privato emessi dalle società non quotate su mercati regolamentati, come ad esempio i minibond.
Perché ricorrere ai minibond? Dal lato delle imprese, oltre al fattore del canale diretto, c’è il vantaggio di ottenere finanziamenti con maggiore possibilità di personalizzazione (ad esempio nel piano di ammortamento). Dal lato investitori, c’è la possibilità di beneficiare di un ottimo rapporto rischio-rendimento.
Una criticità potrebbe essere legata alla (bassa) liquidità: in realtà guardare alla liquidità ha senso per quelle tipologie di investimento che, per loro caratteristiche, necessitano di un monitoraggio nel breve periodo. Di fatto, con un minibond si va a finanziare la strategia di crescita di una media impresa - ad esempio, investimenti in capacità produttiva - ed è fuorviante monitorare su base trimestrale investimenti che per loro natura hanno prospettive di lungo termine.
Tra l’altro, il fatto che un minibond sia poco correlato all’andamento di mercato apre interessanti opportunità di diversificazione.
Andiamo a vedere cosa ci dicono i numeri in proposito. Lo studio di Margherita Giuzio, Adreas Gintschel e Sandra Paterlini “The Components of Private Debt Performance” uscito a settembre sul Journal of Alternative Finance presenta dei risultati molto interessanti.
Confrontando private debt (ovvero, minibond) e corporate bond tradizionali sulla stessa classe di merito creditizio (v. Grafico 1), i dati di mercato combinati con le valutazioni degli operatori mostrano una sostanziale differenza in termini di spread rispetto al relativo indice di riferimento: in media, lo scarto tra i due valori è di 140 punti base, il che significa maggiori rendimenti attesi a parità di rischio.
Nota: spread sul private debt: stime degli operatori (WE corrisponde a Europa occidentale, GER a Germania, ECA a Agenzie di credito all’esportazione); spread sui corporate bond: iBoxx EUR corporate indices per gli strumenti high grade e Merrill Lynch per i sub-investment grade
Per capire a cosa siano dovute queste differenze, Giuzio, Gintschel e Paterlini fanno riferimento a un ipotetico minibond. Come proxy di performance viene preso a riferimento il tasso di interesse Eurozona sui nuovi prestiti di ammontare superiore a EUR 1M e a lunga scadenza, al netto dell’EUR swap rate a 7 anni.
Decomponendo lo spread così calcolato tramite una analisi multivariata, si evidenzia come esso dipenda positivamente dal rischio di credito e negativamente da un fattore corporate liquidity (calcolato come differenza di prezzo tra iBoxx Euro Liquid Corporate Index e iBoxx Euro Corporate Index), anche se in realtà sia l’uno che l’altro fattore hanno un ruolo relativamente marginale. Il rischio di credito cattura ad esempio circa il 20% della dinamica, mentre la componente liquidità meno del 3%.
C’è quindi una sorta di illiquidity o complexity premium (legato alla specifica tipologia di strumento e alla natura privata del mercato) che non riesce a essere catturato completamente dal fattore liquidità e che soprattutto potrebbe offrire interessanti possibilità di diversificazione.
Effettivamente, andando a costruire una proxy per i rendimenti, il nostro ipotetico minibond:
- risulta slegato dall’andamento dei comparti azionario (benchmark MSCI Europe), real estate (MSCI Europe Real Estate) e private equity (Stoxx Europe Private Equity 20), e positivamente correlato a corporate bonds e titoli di debito pubblico (iBoxx Corporate Bonds e iBoxx Sovereign Bonds Eurozone, rispettivamente)
- presenta rendimenti attesi più elevati (v. Tabella 1): 5,85% stimato sul periodo luglio 2014 – maggio 2016, contro ad esempio il 3,65% dell’indice MSCI e il 4,61% dell’indice Private Equity) e una deviazione standard molto più contenuta (4,26%, vs. 19,30% e 24,91%, rispettivamente)
- gioca un ruolo chiave nella composizione di portafoglio (v. Tabella 2): ipotizzando dunque un rendimento del 5,85% e prendendo in esame 5 diversi portafogli lungo la frontiera efficiente, le simulazioni evidenziano una quota di investimento ottimale in private debt pari al 22% nel portafoglio a varianza minima, a fronte di un quasi 50% investito in corporate bonds e 30% circa in titolo di debito pubblico; all’aumentare del rischio, la parte obbligazionaria cede via via il passo al private equity e al private debt, fino ad arrivare al portafoglio a rendimento massimo composto esclusivamente da titoli di private debt.
Investire in minibond presenta dunque notevoli benefici in termini di asset allocation: nell’insieme dei portafogli efficienti, quelli che comprendono anche minibond risultano meglio diversificati e presentano rendimenti più alti a parità di rischio.